Lumen Racconti: Le isole di calore
Era un agosto bolognese che sembrava un forno a legna, solo senza pizza. Il termometro segnava quaranta gradi all’ombra, ma l’ombra era stata privatizzata, in appalto a un consorzio di developer che la affittavano a ore per eventi esclusivi. Le isole di calore si erano moltiplicate come zanzare mutanti e ribollivano come un brodo di tartaruga urbana. I piccioni si erano sciolti in macchie grigiastre, le biciclette in sharing si piegavano come fusilli e i pochi alberi superstiti trapianti in vaso, pregavano di essere deportati in Svezia. Villa Paradiso ospitava il primo “Forno Sociale a Cielo Aperto”, dove gli anziani meno abbienti potevano cucinare se stessi a costo zero. Le voci dei passanti erano filamenti di plastica fritta che si arricciano nell’aria calda. Nel frattempo, sui balconi , i residenti più scaltri avevano trasformato i ventilatori in mini-eoliche da finestra, producendo elettricità a singhiozzo per ricaricare telefoni e frigoriferi portatili, che conservavano ghiaccio rubato ai bar chiusi. Hansy raggiunse il centro, dove l’asfalto si era trasformato in una lastra di vetro liquido che rifletteva il sole come uno specchio impazzito. La folla si era radunata come stormi di fenicotteri stanchi ai giardini della Montagnola, alcuni si avvolgevano in teli di plastica trasparente, altri avevano costruito un piccolo ingranaggio per sfruttare l’energia del vapore per girare i rotori di ventilatori artigianale. Hansy avanzava tra le persone: erano soldati di una guerra invisibile, combattuta contro il caldo, la città e la nozione stessa di dignità urbana. Poi, all’improvviso, dal cielo scese un drone del Comune, che dagli altoparlanti gracchiava: “Per garantire la sicurezza termica, tutti i cittadini saranno trasferiti al Rifugio di Resistenza Termica”. Giunto nel rifugio Hansy notò una gigantesca valvola che cominciò a soffiare vapore profumato di lasagne e bitume, mentre gli abitanti iniziavano un balletto caotico: ondeggiavano come spaghetti in brodo bollente, gridavano slogan incomprensibili e tentavano di proteggere gli alberi in vaso. Intorno ogni edificio sembrava respirare: le facciate scintillavano, gli ascensori sbuffavano e i lampioni emettevano un caldo respiro elettronico. Persino le auto parcheggiate vibravano come lasagne in forno, emettendo piccoli sospiri di plastica fusa. Poi, come in un rituale antico e inevitabile, il Comune attivò il “Sistema di Rinfrescamento Controllato”: una pioggia di ghiaccio secco scese dagli elicotteri dronici, creando arcobaleni sospesi tra i cantieri. Gli abitanti urlavano di gioia e dolore insieme, danzando tra vapore e gelo. La pioggia di ghiaccio secco evaporò in fumo luminoso, e le ombre degli abitanti si proiettavano sulle facciate dei palazzi come disegni di una storia appena scritta. Le biciclette piegate si raddrizzarono da sole, i secchi si riempirono d’acqua fresca, e persino le vecchie panchine ripresero a galleggiare tranquille nei canali d’asfalto fuso. Hansy alzò le braccia verso il cielo, e per un istante sembrò fondersi con l’aria stessa. E in quel momento, tra arcobaleni evaporati e panchine galleggianti, capì che il caldo, i cantieri e le valvole impazzite lo avevano forgiato in un eroe capace di piegare il microclima e la follia urbana alla propria volontà. L’estate, finalmente, stava per finire.