Il vassoio di paste
Satira di un’appropriazione pubblicamente privata
C’è un equivoco di fondo, antico quanto il potere stesso, che a Bologna come altrove sembra diventato il pilastro della progettazione urbana: l’idea che “pubblico” significhi “di nessuno” e quindi, per una curiosa proprietà transitiva della prepotenza, “di chi comanda”. Ma no. Il pubblico non è un’entità astratta, un’ammasso etereo senza volto: è la somma di tanti privati. Il pubblico siamo noi. Il marciapiede è di chi ci cammina, il giardino di chi ci legge un libro, la panchina di chi ci riposa le ginocchia e magari anche i pensieri. Invece a Bologna funziona come in certe cene tra conoscenti: arriva Matthew, si presenta con un vassoio di paste (giusto per la forma), lo appoggia sul tavolo comune… e se le mangia tutte da solo, con la crema che gli cola sul mento mentre ti guarda in faccia masticando. E tu, che avevi portato il passito di Pantelleria , rimani lì, col bicchiere in mano e una certa idea di giustizia ed educazione che si sbriciola come la sfoglia sotto i suoi denti.
Il padrone di casa abusivo
Matthew si comporta come l’invitato che, dopo mezz’ora di permanenza, comincia a spostare i mobili del salotto, decide dove appendere i quadri, poi dà via libera agli operai per rifare il bagno… e alla fine cambia anche il campanello, mettendo il suo nome. “Ma è casa mia!”, provi a dire. “Sì, però ora comando io”, ti risponde mentre firma un’altra delibera. Provi a lamentarti alla riunione condominiale ma sono tutti cooptati dall’amministratore al personale delle pulizie. Così ti smonta la casa come se fossero Lego comprati con la paghetta del nonno. Solo che la paghetta siamo noi, e il nonno è la democrazia. O meglio, era. Ora ha l’Alzheimer e firma tutto.
Il pubblico suolo, privatamente invaso
La scena si ripete in tutta la città: marciapiedi colonizzati da dehors-piantagione, piazze trasformate in showroom di arredi urbani sponsorizzati, portici – patrimonio dell’umanità – usati come deposito temporaneo per materiali da cantiere, transenne, e ambizioni faraoniche. Il suolo pubblico non è più terreno comune, ma suolo “a rendita”: ogni centimetro deve produrre un ritorno, preferibilmente politico, meglio ancora immobiliare. È come se MAtthew fosse il tipo che prende in prestito la tua bici “per andare a comprare le sigarette”, e dopo tre giorni la ritrovi venduta su Vinted, con la foto del suo volto in primo piano e la scritta “come nuova, mai usata da chi la pagava”
Il giardino San Leonardo: più che un parco, un parcheggio d’idee
C’era una volta il giardino San Leonardo. Poi sono arrivati Matthew e Raffa e puff! l’ha trasformato in un rendering in scala 1:1 del nulla. Era un luogo vivo, adesso è una bozza in attesa di cemento. Un posto dove le panchine parlavano e i bambini urlavano: oggi è un angolo muto, in attesa di un qualche “intervento strategico”, magari uno di quei padiglioni modulabili che servono a tutto e quindi a niente. Se fosse un romanzo, sarebbe il “Parco delle Occasioni Mancate”. Se fosse un film, “Cemento Selvaggio – la vendetta del Permesso Edilizio”.
100 alberelli nel vaso: il tocco da giardino zen… da scaffale IKEA
E poi c’è l’ultimo capolavoro: 100 alberelli buttati in cento vasi di plastica, allineati in una piazza, come se stessimo allestendo un giardino zen su scaffali IKEA. Soddisfatto, il sindaco twitta “ecologia urbana!” – peccato che siano stati piantati dopo aver abbattuto piante adulte, forti, secolari. Gli alberelli nel vaso? Decorativi, allegri, ma fragili. “Guardate che verde!”, dice la Emily, mentre la vera vegetazione scompare sotto la betoniera
E tu?
Tu, cittadino, sei rimasto a guardare il giardino che sparisce, il marciapiede che si chiude, l’autobus che non passa, il cantiere che non finisce. Ti hanno detto che è “rigenerazione urbana”, ma sembra più una crisi di rigetto: la città sta espellendo i suoi abitanti veri, come un corpo che non riconosce più le proprie cellule sane. Si rigenera come il serpente che cambia pelle… solo che sotto c’è un rettile più grosso, più famelico, e molto più bravo con gli appalti.
Il pubblico è nostro. Ma se non lo difendiamo, continuerà a essere privatamente svenduto, usato come trampolino, consumato come paste alla crema da chi si presenta a nome della collettività solo per rinfacciarle di non essere abbastanza “moderna”.
E a quel punto, ci resterà solo un quarto di boccia di passito. Ma senza paste, che gusto c’è!