La città

Il padiglione per i grandi eventi firmato Cucinella e l’espansione della Fiera

Articolo uscito su Zero Bologna il 25 giugno 2025 ( vedi )

Nel giugno 2025 hanno preso ufficialmente il via i lavori per la realizzazione del nuovo padiglione 35 progettato da Mario Cucinella Architects tra Piazza Aldo Moro e il Viale della Fiera per i grandi eventi di Bologna Fiere.

“Il nuovo padiglione polifunzionale – si legge – avrà una dimensione di 12.000 mq, con un’altezza di 25 m e una capienza di circa 10.500 spettatori, sarà una struttura modulare, flessibile e ad alta efficienza energetica. Accoglierà le manifestazioni fieristiche internazionali Eima, Cersaie e Cosmoprof, Congressi internazionali, eventi sportivi di alto profilo – a partire dalle partite di campionato e di Eurolega della Virtus Segafredo Zanetti e le finali di Coppa Davis – oltre a grandi concerti e spettacoli. Il progetto si distingue per il volume scenografico avvolto da una facciata dinamica che, trasformandosi in una grande lanterna urbana, potrà proiettare contenuti e raccontare gli eventi alla città. La versatilità è il cuore del progetto: grazie a tribune mobili telescopiche, servizi integrati e spazi riconfigurabili, il padiglione potrà adattarsi rpidamente alle esigenze di esposizioni, congressi, eventi sportivi e spettacoli. Il padiglione sarà dotato di spazi VIP – come sky terrace e aree hospitality – pensati per offrire esperienze coinvolgenti e di alta qualità a un pubblico ampio e diversificato.”

L’opera è un investimento di BolognaFiere che supera i 70 milioni di euro e si aggiunge alla trasformazione del quartiere fieristico iniziata nel 2016 nella quale rientra anche il nuovo padiglione che affianca il Palazzo dei Congressi e che oggi ospita l’attività del Teatro Comunale Noveau. L’obiettivo è lo sviluppo della “polifunzionalità” della Fiera indicata dal Piano Industriale 2022-2026 che prevede perciò – e soprattutto dopo la quotazione in Borsa – anche un’espansione verso nord attraverso la costruzione di 70 mila mq di edifici, parcheggi e servizi con un consumo ulteriore di suolo di 30mila mq. Tutto già previsto da una delibera comunale del 2022, che, tra le sue motivazioni, comprendeva però anche l’impatto della crisi consecutiva alla pandemia di Covid-19 sul settore fieristico. Crisi che si direbbe ampiamente superata visto che il Gruppo BolognaFiere nel 2024 ha conquistato il primato di settore con 274,1 milioni di fatturato e un utile netto di 3,9 milioni di euro.

«Quello di dotare la Fiera di nuove infrastrutture e di realizzare un nuovo spazio che potesse ospitare grandi eventi sportivi, dalla Coppa Davis alle partite della Virtus, e non solo, era un impegno – afferma il Sindaco di Bologna Matteo Lepore -. Un intervento che si inserisce in un quadro di trasformazione complessiva della città e di questo quadrante in particolare, che vede progetti come il Tencopolo e quello del nuovo distretto Tek».

TEK è un acronimo in cui T sta per Tecnologia e Tecnopolo, quindi gli investimenti nel campo della ricerca digitale avanzata, E per Entertainment (intrattenimento) e K per Knowledge (conoscenza). Il distretto di cui parla il Sindaco comprende un’area attorno all’asse di via Stalingrado, che si estende da Porta Mascarella fino alla Dozza (circa 277 ettari). In pratica il cuore del progetto bandiera dell’attuale amministrazione, quella Città della Conoscenza che vede nella Data Valley nell’ex Manifattura Tabacchi e nel Supercomputer Leonardo il suo fiore all’occhiello.

TEK incrocia rigenerazione urbana, parole chiave come “sostenibilità” e nuovo cemento per arrivare a 18mila mq per uffici, 60mila mq per retail & entertainment, 47mila mq per residenze (tra studentati, appartamenti e hotel), 24 mila mq di padiglioni espositivi e 20mila mq di padiglioni polifunzionali.

In mezzo passa anche la rifunzionalizzazione di via Stalingrado come una “green boulevard” che collega il cosiddetto villaggio dell’innovazione digitale” (proprio di fronte al Tecnopolo, che accoglierà nuovi insediamenti di imprese, centri di ricerca e residenze) e il nuovo “distretto dell’intrattenimento” che va, appunto, dalla Fiera al Parco Nord. Quest’ultimo, secondo i progetti, dovrebbe essere conferito alla stessa BolognaFiere trasformandosi in un lido urbano con un lago, chioschi, vasca da surf, una piscina olimpionica e con l’attuale Arena Joe Strummer che diventerebbe un luogo più “competitivo” per una venue complessiva capace di ospitare e attrarre grandi festival.

Mettiamoci dentro anche i progetti immobiliari al posto delle exOfficine Casaralta e i piani di “rigenerazione” per l’ex Caserma Sani e avremo quella che si può definire una macchina della crescita che ambisce ad essere il principale motore economico-finanziario della città nel futuro. Il fine è sempre lo stesso: attrarre investimenti privati e professionalità con alti redditi. Ma il problema è che tutto questo avviene a ridosso di due quartieri socialmente molto fragili come la Bolognina e San Donato già interessanti dall’innalzamento dei prezzi che riguarda tutta la città. Inutile dire la parolina magica che inizia per G, ma questo è proprio il classico caso da manuale.

Intervista a Salvatore Papa

Salvatore Papa racconta da molti anni la cultura urbana, gli eventi e le trasformazioni sociali della città. Si occupa di temi come la gentrificazione, la mobilità e le disuguaglianze urbane, offrendo una prospettiva alternativa sulla Bologna contemporanea. Scrive per Zero ed è autore di articoli per Lucy sulla cultura e Napoli Monitor.

Trasformazioni urbane: Negli ultimi anni Bologna ha visto numerosi progetti di rigenerazione e cantierizzazione. Secondo te, quali quartieri stanno cambiando più radicalmente e con quali effetti sociali?
Ricordo che qualche anno fa erano in molti a storcere il naso davanti alla parola “gentrificazione” perché, dicevano, a Bologna non esiste. Oggi la maggior parte di quelli si sono dovuti ricredere perché quel processo di trasformazione, inizialmente poco chiaro, è arrivato inesorabile come successo anche altrove. Basti guardare la Bolognina. Lì le trasformazioni sono iniziate più di 15 anni fa, prima con la nuova sede del Comune disegnata dall’archistar Mario Cucinella, poi con la stazione dell’Alta Velocità su via de’ Carracci. Gli effetti però li vediamo solo oggi: prezzi schizzati, spazi pubblici occupati dal consumo, politiche securitarie e profilazione razziale, sfratti e fenomeni di disagio sociale in aumento, mentre fioriscono bar e ristoranti e gli spazi sociali si trasformano in “Social Hub” per ricchi e turisti. Quello che è già successo in Bolognina, rischia quindi di accadere anche altrove, a partire da San Donato che pagherà la sua vicinanza al cosiddetto TEK, il distretto dedicato al digitale e all’intrattenimento che vorrebbero far nascere tra il Tecnopolo e la Fiera, ma anche la zona attorno all’ex Scalo Ravone dove sorgerà il cosiddetto SimBolo Park. Non possiamo però aspettare di nuovo 15 anni prima di reagire.
Cultura e gentrificazione: In che modo la crescita del turismo e la speculazione immobiliare stanno influenzando la vita culturale della città, soprattutto per le realtà artistiche indipendenti?
Banalmente non esiste arte e non esiste creazione culturale indipendente senza tempo libero e liberato dal lavoro. Un tempo che diminuisce drasticamente se l’affitto cresce e, quindi, per pagarlo bisogna sgobbare tutto il giorno e occupare la mente con le preoccupazioni. La maggior parte delle sottoculture non sarebbero mai nate se le città non avessero avuto un’offerta locativa a buon mercato o garantita dallo Stato. La gentrificazione prodotta dall’economia turistica e dalla speculazione che ne consegue distrugge, quindi, la creatività e rende impossibile l’indipendenza dal mercato e dal consumo. Con il ricatto del “there is no alternative” le logiche quantitative legate al profitto si impongono anche nei bandi delle amministrazioni pubbliche che finiscono così per destinare la maggior parte dei finanziamenti a progetti culturali dal successo di pubblico assicurato, appiattendo la vita culturale in un ripetersi stanco di eventi tutti uguali che producono solo spettacolarizzazione.
Ruolo dei media locali: Ritieni che la stampa e i media di Bologna stiano raccontando la città in modo critico, o prevalgono narrazioni edulcorate che promuovono solo turismo e investimenti?
Dipende di quale stampa e quali media parliamo. In generale la scena mediatica bolognese soffre gli stessi mali di quella nazionale. Fare giornalismo indipendente è diventato quasi impossibile perché gli editori sono perlopiù imprenditori e uomini di finanza che usano i media per proteggere i propri interessi economici e tenere sotto ricatto le forze politiche. Anche per questo motivo le redazioni sono state nel tempo scarnificate e quei pochi che oggi ha un contratto stabile rispondono direttamente agli editori stessi con le conseguenze che possiamo immaginare. La precarietà di tutti gli altri non può, infine, che ripercuotersi sulla qualità del lavoro. Rispetto a Bologna; a parte Radio Città Fujiko che resiste eroicamente nell’indipendenza, la critica è rara e quasi sempre unidirezionale. Talvolta sono invece gli uffici stampa a fare il lavoro principale.
Voce dei cittadini: Quanto il dibattito pubblico e mediatico riflette le esigenze reali dei residenti, e quanto invece segue logiche politiche o economiche?
Anche in questo caso, dipende da quali sono le esigenze. L’amministrazione si è dotata negli ultimi 15 anni di una grande quantità di strumenti per gestire il rapporto con i cittadini, uno su tutti la Fondazione Innovazione Urbana (FIU) nata principalmente per appianare i conflitti. Tutto ciò che non passi perciò attraverso quei filtri è mal tollerato. È anche per questo motivo che il termine “comitato” ha nel tempo assunto nella narrazione istituzionale e mediatica un’accezione perlopiù negativa. I comitati sono, infatti, entità indipendenti per natura, che nascono per iniziativa spontanea e, spesso, in opposizione a determinate politiche. Si dice, quindi, che i comitati “non vogliono dialogare” se, ad esempio, rifiutano l’intermediazione di FIU, ma la verità è che assistiamo di continuo al tentativo di mettere i conflitti sotto al tappeto e ridurre le esigenze divergenti dei cittadini a scocciature che intralciano la corsa verso il progresso. Possiamo dire che ogni esigenza è ascoltata nella misura in cui non sia d’intralcio alla crescita.
Futuro della città: Se potessi indicare una priorità urgente per Bologna nei prossimi cinque anni, su cosa dovrebbe concentrarsi l’amministrazione per preservare qualità della vita e cultura locale?
La priorità è fermare la rendita e ridurre le disuguaglianze. Non è certo qualcosa che Bologna possa fare da sola, ma qualche esempio potremmo provare a darlo. Giusto per iniziare: ridurre a zero i fondi per la promozione del turismo e dirottarli verso politiche rivolte ai cittadini, specialmente quelli più fragili. Perché la storia del turismo sostenibile è una balla. Sarebbe come dire che ci sono le miniere di carbone sostenibili. Stiamo subendo gli effetti di un’industria estrattiva altamente nociva e non è più accettabile continuare a foraggiarla. Più in generale, invece, credo che la priorità assoluta sia la decrescita nei termini descritti da Serge Latouche. Ovvero stabilire i limiti dello sviluppo e le soglie di tenuta della città; e non per tornare indietro, ma sfruttando ciò che abbiamo accumulato per garantire una vita dignitosa e felice a chiunque. È un’impresa utopica, ma viviamo nella città che per molti anni è stata guardata con ammirazione da tutto il mondo per aver sperimentato con un discreto successo l’utopia per eccellenza: il comunismo.
Molecole correlate