Le reti e il territorio

Giù Dall’Arca

Un laboratorio di cultura dal cuore della città

di Antìgene

A volte, tra le strade indaffarate di Bologna, ci si imbatte in luoghi che sembrano sospesi tra il tempo e lo spazio, piccole isole di respiro umano in mezzo alla frenesia urbana. Giù dall’Arca è uno di questi. Non è un teatro enorme né una sala scintillante, ma un laboratorio vero, un luogo dove la cultura si fa vita quotidiana, comunità, incontro. Gestito da Teatrinindipendenti APS, Giù dall’Arca si trova alla Bolognina, un quartiere che ha conosciuto trasformazioni e contraddizioni.

Qui, in uno spazio raccolto e accogliente, artisti e cittadini si incontrano per creare, vedere spettacoli, partecipare a laboratori, sperimentare. La sua missione sembra semplice: dare voce a chi vuole raccontare storie non convenzionali, e farlo in modo aperto, inclusivo, resiliente. Ma in realtà è un lavoro complesso, perché significa coltivare cultura in un contesto urbano dove spesso gli spazi indipendenti faticano a sopravvivere.

Ciò che rende Giù dall’Arca speciale è il modo in cui intreccia l’arte con la comunità. Non si tratta solo di spettacoli, ma di costruire legami: laboratori di teatro d’improvvisazione, performance musicali, incontri conviviali. Il teatro diventa così un ponte tra chi produce cultura e chi la vive, tra artisti emergenti e spettatori curiosi, tra generazioni diverse.

Il nome stesso, “Giù dall’Arca”, è evocativo: un invito a uscire dal rifugio, a scendere nell’incontro con l’altro, a sperimentare senza protezioni e senza barriere. Qui, la cultura non è un lusso, ma una necessità, uno strumento di resilienza, una forma di resistenza rispetto a un mondo che spesso sembra voler ridurre lo spazio per l’arte e per la comunità.

In un quartiere come la Bolognina, tra trasformazioni urbane e cambiamenti sociali, Giù dall’Arca assume un ruolo simbolico e concreto: è un piccolo cuore pulsante di cultura indipendente, un luogo che testimonia che fare arte non è solo mettere in scena spettacoli, ma costruire tessuto sociale, dare voce a storie che altrimenti rischierebbero di perdersi. E così, scendendo “giù dall’arca”, ci si ritrova a fare parte di qualcosa di più grande: una comunità che coltiva il bello, il pensiero critico, la curiosità, e che prova a rendere la città un po’ più umana. In fondo, non è questo il compito più autentico di un teatro di quartiere?

Contatti: giudallarca@teatrinindipendenti.it

Web: https://teatrinindipendenti.it/giu-dallarca

Intervista a Maurizio Mantani
Maurizio Mantani

E’ il fondatore e anima di Giù dall’Arca, piccolo teatro artigianale nato nel cuore della Bolognina. Musicista, tecnico, autodidatta della scena e instancabile animatore culturale, ha trasformato un ex laboratorio artigianale in uno spazio di sperimentazione aperto alla comunità. Da anni cura una programmazione che unisce teatro, musica e performance, con particolare attenzione ai giovani artisti e ai linguaggi più radicali. Crede nel teatro come luogo di incontro sociale e come pratica accessibile a tutti, portando avanti un modello indipendente basato su prossimità, accoglienza e passione.

Com’è nato Giù dall’Arca?
Quando abbiamo aperto lo spazio, l’idea iniziale era semplicemente quella di creare un laboratorio artigianale dove lavorare manualmente, io e la mia socia. Ma appena sono entrato ho capito subito che il luogo aveva un potenziale diverso: era perfetto per farci un piccolo teatro. Così abbiamo iniziato con una prima sperimentazione, organizzando concerti e piccole performance dentro il laboratorio, con i musicisti che suonavano letteralmente in mezzo agli attrezzi e ai materiali artigianali.
Poi la mia socia ha lasciato lo spazio e mi sono ritrovato da solo. A quel punto ho allestito un vero e proprio teatro: ho costruito un palco, installato le americane, i tiri teatrali per appendere luci e scenografie, e un impianto audio decente. Così è nato il laboratorio teatrale.
Quanto conta la comunità locale nella vita del teatro?
L’apporto della comunità è fondamentale. Il laboratorio è frequentato soprattutto da persone della Bolognina, e anche gli artisti, all’inizio, venivano tutti dal quartiere o li incontravo lì. Una delle cose più belle è stata sentirmi dire da persone del rione: “Grazie per quello che state facendo, continuate così”. È stato il momento in cui mi sono davvero sentito parte del quartiere.
Come scegli gli spettacoli e i laboratori da ospitare?
Ricevo diverse proposte da artisti che mi presentano i loro lavori, e decido in base a cosa si integra bene con lo spirito dello spazio. All’inizio c’era molto jazz, sperimentazione musicale e improvvisazione radicale. Ora sto cercando di dare più spazio al teatro, anche se non è facile: il palco è piccolo e non tutte le compagnie riescono a starci. Per lo più ospitiamo artisti singoli che fanno monologhi. Mi piace dare spazio a giovani che sperimentano, sia nella musica sia nel teatro. Ogni tanto propongo anche eventi più “pop”, purché rispettino il gusto del posto e del pubblico che lo frequenta.
Quali sono le principali difficoltà nella gestione di uno spazio indipendente?
Come sempre, quelle economiche. Qui teniamo tutto il più accessibile possibile: spettacoli e concerti sono a offerta libera, in modo che chiunque possa entrare, anche con un euro. Ma questo significa che spesso non riusciamo a pagare gli artisti quanto meriterebbero. Per fortuna chi viene qui lo fa perché ama davvero esibirsi in questo spazio. Lo stesso vale per noi: dobbiamo coprire affitto e utenze, e non sempre si arriva in fondo. È una sfida costante.
Che cosa significa per te fare “teatro di comunità”?
Significa portare spettacoli che altrove non vedresti e far incontrare un pubblico che spesso non frequenta i teatri. Le persone che vengono qui rimangono piacevolmente sorprese da ciò che vedono, e spero che questo le avvicini al teatro in generale.
C’è anche un forte impatto sociale: prima dello spettacolo, la gente sta qui, chiacchiera, si conosce, si confronta. E spesso c’è anche l’artista lì, disponibile al dialogo. Si crea una relazione vera.
Che cosa ti auguri per il futuro dello spazio?
Mi piacerebbe che il pubblico – e anche gli artisti – uscisse un po’ dalla mia “bolla”. Molti, quando arrivano per la prima volta, dicono: “Non sapevo che esistesse questo posto”. Vorrei che si spargesse la voce e che sempre più persone potessero scoprire quello che facciamo qui. A lungo termine non saprei: la vita è piena di sorprese!