Gli ecosistemi

Biomasse

il trucco sporco della transizione verde

di Antìgene

Ci hanno raccontato che bruciare legna per produrre energia è una scelta ecologica. Che il pellet importato da oltreoceano è “energia pulita”. Che le biomasse sono il cuore della transizione green. Ma la realtà, guardata senza gli slogan dei ministeri e delle lobby energetiche, è molto diversa: la febbre delle biomasse sta alimentando deforestazione, aumento delle emissioni e land grabbing.

Il paradosso dell’energia “pulita” che sporca più del carbone

Il dogma della neutralità climatica delle biomasse si regge su un trucco contabile: si brucia oggi e si dice che la CO₂ sarà riassorbita domani, tra decenni, quando gli alberi ricresceranno. Peccato che il pianeta stia collassando adesso. Nel frattempo, la combustione di pellet e legna rilascia più CO₂ per unità di energia del carbone. Non lo dice un attivista, lo dicono i dati scientifici.

Foreste trasformate in centrali elettriche

Il business delle biomasse ha trasformato alberi secolari in combustibile da bruciare in pochi minuti. L’Europa – sempre pronta a dare lezioni sul clima – importa tonnellate di pellet dal Nord America e dall’Est Europa, alimentando un circolo vizioso: deforestazione, monocolture di eucalipti e pioppi, biodiversità spazzata via. Così, in nome del “verde”, distruggiamo i polmoni del pianeta.

Greenwashing istituzionale

Il trucco sta nel linguaggio. Si parla di “residui forestali”, ma in molti casi sono interi tronchi abbattuti. Si dice “economia circolare”, ma dietro c’è un mercato globale che muove miliardi e si regge sullo sfruttamento delle risorse altrui. Tutto con il timbro ufficiale delle istituzioni europee, che classificano le biomasse come rinnovabili, spalancando le porte a sussidi e incentivi pubblici.

Gli effetti collaterali nascosti

Dietro questa illusione verde ci sono conseguenze concrete e brutali:

  • comunità del Sud globale private delle loro terre per far posto a piantagioni energetiche;
  • prezzi della legna che salgono, colpendo chi la usa per cucinare o riscaldarsi;
  • territori impoveriti, ecosistemi semplificati, desertificazione.

È l’ennesima riproposizione del colonialismo energetico, riverniciato di verde.

La vera transizione non brucia foreste

Se la crisi climatica è reale – e lo è – non possiamo permetterci scorciatoie tossiche. Le biomasse industriali non sono la soluzione: sono un inganno. Una transizione che brucia alberi secolari per produrre energia non è una transizione, è un autogol.

La strada vera è un’altra: riduzione drastica dei consumi, solare, eolico, efficienza energetica, comunità energetiche locali. Non centrali travestite da green, che trasformano le foreste in cenere.

Biomassa, transizione o alibi?

Davide Celli (Bologna, 18 gennaio 1967), è un attore, fumettista e politico italiano. Scoperto da Roberto Faenza, esordisce giovanissimo al cinema e diventa noto con film come Una gita scolastica (1983) e Festa di laurea (1985) diretti dai fratelli Avati,è impegnato da anni nei movimenti ecologisti, ha aderito ai Verdi, è stato consigliere comunale a Bologna (2004-2009) e nel 2021 si è candidato alle elezioni comunali nella lista Europa Verde.




Intervista su politiche regionali, gestione forestale e giustizia ambientale a Bologna con Davide Celli

La Regione Emilia-Romagna ha spinto molto sulla transizione energetica. Secondo te, la promozione della biomassa rischia di diventare un alibi “verde” che favorisce logiche industriali più che ambientali?
L’uso delle biomasse è stato deciso a livello europeo. In anticipo si è scelto di smettere di comprare gas dalla Russia, sostituendolo con un altro combustibile: la legna. Se lo avessero detto apertamente, ci sarebbe stata una levata di scudi. Così hanno cominciato a raccontare – sapendo di mentire – che le centrali a biomassa avrebbero utilizzato solo scarti agricoli.
Ma chi ha una stufa lo sa bene: con rametti ed erba devi riempirla in continuazione. Le centrali hanno bisogno di tronchi, e accanto alla centrale di Zola Predosa si vedono montagne di sfalci pronti alla combustione. Non è stata una scelta dell’Emilia-Romagna, ma un adeguamento forzato alle decisioni europee legate alle sanzioni contro Putin. Certo, le emissioni si aggiungono alle altre, ma non ci sono indagini epidemiologiche serie per misurarne l’impatto.
In Emilia-Romagna si parla di valorizzazione dei boschi per la filiera della biomassa. Pensi che questa strategia rischi di incentivare il disboscamento o può essere una gestitone realmente sostenibile del patrimonio forestale?
La formula “gestione del patrimonio forestale” è un insulto alla biologia e alla ragione. Un bosco è un’entità ecologica che si sviluppa in migliaia di anni, non un campo coltivato. Come ricordava l’ecologo Wilson, su un singolo albero amazzonico vive lo stesso numero di specie di insetti che in tutta l’Inghilterra.
Pensare di trattare un bosco come una coltura agricola è demenziale. È la stessa logica con cui in Trentino sostengono che per proteggere la biodiversità bisogna abbattere lupi o orsi. Oggi il taglio ceduo non è quello di una volta: restano alberi esili e distanti, che si spezzano alla prima neve. La lettiera viene dilavata, il terreno perde capacità di trattenere acqua e aumentano alluvioni e frane. Chi vive in montagna lo vede: c’è una correlazione diretta tra disboscamenti e dissesto idrogeologico.
In una città come Bologna, che soffre di isole di calore e cementificazione, la scelta sulla biomassa può avere conseguenze dirette anche sulla giustizia ambientale. Vedi alternative più efficaci?
In città sta nascendo una resistenza dal basso contro i tagli. A Bologna, però, il problema è la gestione del verde: va riportata in house. Non si può associare la manutenzione degli alberi al prelievo di legna per biomassa. Altrimenti si rischia che qualcuno poti male, condanni un albero e poi ne chieda l’abbattimento.
Mai come oggi si sono visti tanti alberi capitozzati e destinati alla morte. Per questo servono misure chiare:
obbligo di documentazione fotografica per ogni potatura;
ripristino dei vivai comunali;
coinvolgimento di cittadini e università nella gestione del patrimonio genetico delle piante più resilienti.
Infine, introdurrei il principio di equivalenza di biomassa: se abbatti un albero da una tonnellata, devi ripiantarne l’equivalente in peso, non tre alberelli simbolici. Questo vincolerebbe spazi urbani oggi appetibili ai costruttori, restituendoli invece alla cittadinanza.
Come valuti l’approccio dell’amministrazione comunale e regionale alla biomassa? C’è un reale confronto democratico con cittadini e comitati, o prevale una logica tecnocratica che decide dall’alto?
A Bologna esiste la Consulta del Verde, ma non funziona. Le associazioni si sentono inascoltate e hanno ragione: in quattro anni non è stato discusso nemmeno un abbattimento. L’amministrazione la considera poco più che un salotto di chiacchiere, senza funzioni di indirizzo o controllo reali.