La Bologna che lavora in silenzio.
Migranti e manodopera a basso costo nella città che si trasforma
Mentre Bologna si reinventa con cantieri, tram, vetrine nuove e quartieri rigenerati, c’è una città che resta ai margini, e che pure ne è l’ossatura invisibile. È la Bologna della forza lavoro migrante: essenziale, ma invisibile; impiegata ovunque, ma riconosciuta in poche parole e ancor meno nei diritti.
Lavoratori, non ospiti
Quando si parla di migrazione a Bologna, il dibattito pubblico oscilla tra accoglienza e sicurezza, tra cultura dell’integrazione e paura dell’altro. Spesso ci si dimentica del punto centrale: le persone migranti sono lavoratori. Parliamo della logistica e del facchinaggio, dove turni notturni e cooperative in subappalto spremono braccia e tempo. Parliamo dei cantieri edili dove molti operai arrivano dal Nord Africa, dal Pakistan o dall’Africa subsahariana. Parliamo delle badanti, delle colf, delle pulizie nei supermercati, nei condomini, nei bagni delle stazioni: lavori tanto invisibili quanto essenziali.
La Profilazione Razziale
La profilazione razziale o etnica si verifica quando le forze dell’ordine effettuano controlli, fermi o interventi basandosi su caratteristiche l’origine etnica dell’individuo, anziché su elementi concreti di sospetto o comportamento sospetto.
È una pratica potenzialmente illegale, e comuque indicativa di razzismo istituzionale.
Il dispositivo securitario viene spesso impiegato in modo strumentale per legittimare forme di controllo e marginalizzazione delle persone migranti, presentate pubblicamente come minaccia all’ordine e alla sicurezza urbana. Retate, presidi, controlli arbitrari, ronde operano come strumenti di disciplinamento sociale e selezione etnica. Una precarietà che conviene
Non si tratta di una stortura momentanea, ma di un meccanismo strutturale. La forza lavoro migrante regge interi comparti produttivi a Bologna, ed è mantenuta in condizioni di ricattabilità sistemica:
- permessi di soggiorno legati al lavoro,
- salari bassi e contratti precari o irregolari,
- difficoltà di accesso al welfare,
- esclusione dal mercato degli affitti.
Nel mentre, il Comune investe milioni nei progetti di “rigenerazione urbana”, mentre il mercato immobiliare esplode. Ma chi lavora alla costruzione fisica di questa città rinnovata? Chi abita davvero le case nuove, i coworking, gli studentati privati?
Quartieri-silos e città duale
Nel nome dell’inclusione, si riproducono invece forme di segregazione silenziosa. Alcuni quartieri — Bolognina, Barca, San Donato — si trasformano in silos sociali, dove si concentrano lavoro povero, edilizia pubblica residuale, reti informali di sopravvivenza. Mentre altrove si costruisce la vetrina della “smart city”, lì si vive la realtà della Bologna che pulisce, costruisce, cucina, consegna e accudisce.
Oltre la retorica dell’accoglienza
Bologna ha saputo costruire, nel tempo, una narrazione di città aperta e solidale. Ma questa narrazione scricchiola se non si guarda in faccia la realtà: l’integrazione senza diritti è solo sfruttamento con un volto gentile. E la “diversità” tanto celebrata diventa accettabile solo quando serve, quando produce valore per altri.
Rendere visibile l’invisibile
Ciò che serve oggi è una presa di parola pubblica su queste condizioni. Un’inchiesta civica che metta in relazione migrazione, lavoro, casa e trasformazione urbana. Un lavoro politico, ma anche culturale, che racconti la città dal punto di vista di chi la tiene in piedi senza mai salire sul palco. Perché il futuro di Bologna non si gioca solo nei suoi progetti infrastrutturali o nei suoi rendering in 3D. Si gioca anche e forse soprattutto nella possibilità che chi oggi vive e lavora nei margini possa diventare protagonista, soggetto politico, cittadino a pieno titolo. Dati sulla presenza migrante a Bologna
- 1) Al 31 dicembre 2023, gli stranieri residenti a Bologna erano circa 61.472, pari al 15,11 % della popolazione del comune
- Nel dettaglio
| Nazionalità | Residenti | % sul totale stranieri |
|---|---|---|
| Romania | ~ 9.657 | ~ 15,7 % |
| Bangladesh | ~ 4.894 | ~ 8,0 % |
| Filippine | ~ 4.602 | ~ 7,5 % |
| Pakistan | ~ 4.503 | ~ 7,3 % |
| Cina | ~ 4.380 | ~ 7,1 % |
| Ucraina | ~ 4.026 | ~ 6,6 % |
| Marocco | ~ 2.879 | ~ 4,7 % |
| Albania | ~ 2.615 | ~ 4,2 % |
| Moldova | ~ 2.416 | ~ 3,9 % |
Responsabile dello sportello legale solidale e presidente dell’associazione La Casa del Mondo – Adjebadia APS, centro culturale e sociale situato nel quartiere Bolognina di Bologna.
SPAD (sportello antidiscriminazioni razziali del comune di Bologna) che ci da supporto istituzionale nell’affrontare caso per caso.In genere i casi di profilazione razziale sono caratterizzati per avere esordi differenti, ma quasi tutti lo stesso epilogo;
Il più delle volte si ha un fermo di polizia generico, dovuto a circostanze tempi e luoghi indeterminati, specie se in prossimità di barriere fisiche limitanti luoghi istituzionali (davanti all’ingresso di una abitazione, davanti alle stazioni).
Come previsto dalla legge ex art. 651 c.p., è obbligatorio fornire non solo le proprie generalità, ma anche esibire il documento nel caso si tratti di soggetto razzializzato.
Il più delle volte finisce però che il soggetto risulti insofferente al controllo, ed per un motivo o altro non si dimostri collaborativo, sino ad arrivare a costringere le forze dell’ordine ad usare la forza e quindi contestare il reato della resistenza al pubblico ufficiale, ex art 337 c.p.
Quindi nei casi di profilazione razziale abbiamo come indice sintomatico la contestazione della resistenza o lesioni al pubblico ufficiale.
Insomma non si ripone alcuna fiducia nell’intervento delle forze dell’ordine rinunciando a considerare le forze della polizia come agenti posti a garanzia e tutela delle prerogative costituzionali rivolte anche alle persone razzializzate.
Ad esempio, se l’ufficio immigrazione rilascia i titoli di soggiorno oltre al
tempo consentito dalla legge alla p.a. per la definizione del procedimento (art.5, comma 9, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 art. 2 L. 241/90), ovvero oltre 6 mesi oppure un anno dalla richiesta, l’operatore di polizia non può contestare
nulla al soggetto fermato, in quanto è lo stesso ufficio ad originare delle criticità durante il controllo di sicurezza.
Per ora siamo molto preoccupate per la vigenza delle zone rosse disposte da ultimo dal nostro Ministro degli interni in più metropoli di Italia, in quanto nella loro costruzione giuridica tendono a criminalizzare un profilo di soggetti che spesso coincide con i soggetti razzializzati.
nel nostro atto costitutivo. Inoltre siamo associate allo sportello contro le discriminazioni razziali del Comune di
Bologna, che tramite finanziamenti europei, mette in campo tutte le pratiche utili al contrasto di fenomeni discriminatori, con uno sportello di segnalazione, di ascolto, di supporto legale, psicologico, sanitario, il tutto gratuitamente per le vittime.
profilazione razziale e costruire un controllo del territorio più equo e inclusivo nella Bolognina?
Siamo parte di una rete di attiviste antirazziste in Italia, e l’idea è quella di costituire una rete transnazionale europea che possa unirsi in coordinamento al contrasto del fenomeno della profilazione, tramite la pratica del “cop-watch” https://en.wikipedia.org/wiki/Copwatch