Le 300 pipe
A Bologna l’amministrazione comunale avvia una sperimentazione per la riduzione del danno distribuisce 300 pipe da crack. Ok è un iniziativa puramente cosmetica, 300 pipe se ne vanno in un quarto d’ora in bolognina, ma pronuncia una parola dormiente da troppo tempo “Riduzione del danno”. Una volta grazie soprattutto al Lab Antiproibizionista del Livello 57, Bologna era all’avanguardia. Venivano a studiarci da tutt’Italia e mezza Europa. Poi con quel minus habens di Cofferati andò tutto alle cozze!
Quando si parla di riduzione del danno, troppo spesso il dibattito si polarizza: da una parte chi la vede come un cedimento morale, dall’altra chi la considera un lusso per società ricche. La realtà è che si tratta di un approccio basato su evidenze scientifiche e pragmatismo, capace di salvare vite e di ridurre costi sociali ed economici. Qui si tratta di rimediare alla Meloni non alle sostanze.
Non è “incoraggiare l’uso di droghe” o “normalizzare il rischio”, ma accettare che i comportamenti a rischio esistono e che ignorarli non li elimina, li peggiora. Nasce con i programmi di scambio siringhe negli anni ’80 per contenere l’HIV tra persone che usavano eroina. Da allora si è evoluta: dai drug checking per sostanze adulterate ai safe consumption rooms, fino ai programmi di naloxone per prevenire overdose.
Perché funziona?
Riduce la mortalità: Paesi con stanze del consumo sicuro e naloxone hanno meno overdose.
Abbassa i costi sanitari: meno infezioni, meno emergenze, meno carico per ospedali.
Connette le persone ai servizi: la riduzione del danno è spesso il primo passo per entrare in percorsi di cura.
Diminuisce il danno sociale: meno marginalità.
Un cambio di paradigma
Il proibizionismo si è dimostrato fallimentare: aumenta lo stigma, spinge le persone nell’illegalità, alimenta mercati neri violenti. La riduzione del danno non sostituisce la prevenzione, ma la rende credibile e concreta.
Perché serve anche in Italia?
Nonostante alcune sperimentazioni positive, il nostro Paese è in ritardo rispetto al resto d’Europa. Bologna, per esempio, ha vissuto una fase pionieristica negli anni ’90 con l’Unità di strada e il progetto Checkpoint, ma oggi i servizi sono sottofinanziati e stigmatizzati. Nel frattempo, le overdose continuano a crescere, e il mercato delle nuove sostanze evolve più velocemente delle politiche.
Non è ideologia, è salute pubblica
Riduzione del danno significa riconoscere la complessità umana. Significa mettere la vita e la dignità al primo posto, non le astrazioni moralistiche. Non è un compromesso: è un investimento in sicurezza collettiva, salute e giustizia sociale.
L’esperienza dei Drop In
In culo ai sostenitori delle politiche securitarie soprattutto quelli finti ambientalisti. Se si vuole ridurli alla marginalità che si meritano questa è la strada giusta! Senza fare nomi se no pubblicano post idioti.
Sono strutture a bassa soglia pensate per incontrare persone in situazioni di vulnerabilità, principalmente tossicodipendenti, ma anche senza dimora, migranti, lavoratori del sesso o chiunque viva forme di disagio sociale. Forniscono un punto di accoglienza non giudicante dove è possibile accedere a servizi di base: ristoro, materiali sterili, orientamento verso servizi sanitari o sociali, fino a diventare un primo contatto verso percorsi più strutturati. E permettono di togliere quel bacino elettorale da capitalizzare che è il degrado.