Perché Matthew somiglia più a Cuomo che a Mamdani.

di Hansy Lumen

Ovvio che Matthew non si è lasciato scappare l’endorsement narrativo/strategico alla vittoria di Mamdani ma…. Il feticcio plastificato di Coalizione Civica ha cessato di essere credibile come rappresentazione della sinistra radicale e appare sempre più come un dispositivo puramante narrativo.

Come i Democratici americani anche il Pd si affida a un consenso passivo/consociativo sempre più debole. Le vittorie avvengono perché la sinistra “radicale” riesce a mobilitare gruppi sociali che normalmente non votano, lo attestano i dati di partecipazione straordinari per New York e la grande mobilitazione dal basso per Seattle.

La vittoria di Zohran Mamdani a New York o Katie Wilson a Seattle è il segnale di una mutazione profonda del paesaggio politico urbano. Ed è una mutazione che riguarda molto da vicino anche l’Italia, dove città amministrate dal centro sinistra come Milano, Bologna, Firenze, Torino e Roma stanno riproducendo le stesse dinamiche dei Democratici americani : espansione urbana senza limiti, cantierizzazione permanente, speculazione immobiliare e aumento degli affitti e partecipazione al voto in crollo verticale.

Le città sono diventate laboratori di crisi sociale, e il centrosinistra istituzionale non ha più risposte credibili per affrontarla aldilà della costruzione narrativa sempre meno convincente. A New York i 23 milioni di dollari spesi per la campagna elettorale di Cuomo non sono serviti.

Mamdani, Wilson e la nuova “fault-line” della politica urbana americana

A New York, Mamdani ha vinto proponendo ciò che i Democratici tradizionali hanno abbandonato da tempo: controllo degli affitti, edilizia pubblica, trasporto come bene comune, caro vita, limitazione del potere delle lobby immobiliari. A Seattle, Katie Wilson ha mobilitato una coalizione di inquilini, giovani lavoratori e movimenti climatici contro anni di politiche che hanno favorito big tech, real estate e occupazione del suolo e degli spazi pubblici. Una trasformazione strutturale di un elettorato urbano che vive sulla propria pelle:

  • l’aumento insostenibile degli affitti;
  • l’erosione del reddito reale;
  • la privatizzazione strisciante dei servizi;
  • la cattura dei partiti tradizionali da parte di interessi immobiliari e finanziari.

La sinistra radicale intercetta questa frattura. I Democratici, invece, finiscono per apparire come gestori competenti del declino, non come alternativa.

Urbanizzazione espansiva e speculazione: la matrice comune

L’elemento che accomuna le metropoli americane e quelle europee è il modello di sviluppo urbano: espansione continua, grandi progetti, attrazione di investimenti, infrastrutture pensate per l’economia e non per chi ci vive.

Il risultato è una spirale ben nota:

  1. L’espansione urbana crea valore di mercato, non valore sociale.
  2. Quel valore viene catturato dagli investitori, non redistribuito.
  3. I prezzi salgono, il tessuto popolare arretra.
  4. I centri diventano vetrine e i quartieri si svuotano.
  5. La politica che favorisce questo modello si logora e perde consenso.

Quando la vita quotidiana degli abitanti peggiora — affitti fuori controllo, mobilità sacrificata, quartieri ingolfati da cantieri — il voto si sposta verso chi denuncia apertamente i rapporti tra amministrazioni e grandi operatori immobiliari.

È accaduto negli USA.
Sta accadendo anche in Italia.

Il centrosinistra italiano e il mito della “crescita urbana”

Le principali città governate dal PD hanno adottato, in forme diverse, la stessa narrazione: rigenerazione = modernizzazione = progresso:

Milano: Il “modello Milano” ha trasformato la città in un hub globale: grattacieli, quartieri verticali, investimento privato senza precedenti. Ma ha anche prodotto l’aumento degli affitti più rapido d’Italia, espulsione dei residenti e un mercato immobiliare dominato da fondi e piattaforme.

Bologna: Cantieri ovunque, rigenerazioni senza pausa, PUMS contestati, pressione immobiliare crescente. Uno sviluppo presentato come sostenibile che però non affronta la domanda centrale: dove vivranno, e a che prezzo, le persone che fanno funzionare la città?

Firenze: Tra turismo di massa e progetti infrastrutturali, la città si trova schiacciata fra valorizzazione immobiliare e crisi dell’abitare. Il centro storico è già perduto; le periferie iniziano a cedere allo stesso meccanismo.

Torino: PNRR e grandi riqualificazioni spingono la città verso una conversione “tecnologica” che rischia di replicare la logica della valorizzazione immobiliare senza contropartite sociali.

Roma: Il Giubileo 2025 e la quantità enorme di interventi pubblici stanno generando un’ondata speculativa che si somma a quella del turismo breve. I residenti pagano l’aumento dei costi e la perdita di accessibilità.

In tutte queste città, il PD si trova nella stessa posizione dei Democratici statunitensi:
promuove opere che aumentano il valore immobiliare sperando che migliorino anche la qualità della vita. Ma senza politiche abitative forti, succede l’opposto.

Il punto politico: la sinistra radicale cresce dove il centrosinistra rinuncia al conflitto

La lezione americana è chiara:
la sinistra non perde perché è troppo radicale, ma perché non è radicale abbastanza sui temi che contano. La crisi della casa e la tutela ambientale sono oggi la prima linea del conflitto sociale nelle città. E dove questo conflitto non viene raccolto dai partiti progressisti, nasce un vuoto che qualcuno riempie:

  • movimenti per la casa,
  • liste civiche indipendenti,
  • nuove coalizioni anti-speculative.

È un fenomeno internazionale. E in Italia, dove l’abitare è stato rimosso dall’agenda nazionale, potrebbe diventare il terreno su cui si ridefiniscono le identità politiche del prossimo decennio.

Oltre lo sviluppo urbano: costruire città che non espellono

Se c’è una lezione che arriva da New York, Seattle, Barcellona, Berlino, è questa:
il modello di città come macchina per attrarre capitale è diventato insostenibile.

Le alternative esistono:

  • controllo degli affitti e regolazione dell’offerta turistica;
  • housing pubblico e cooperativo su larga scala;
  • vincoli sociali nelle trasformazioni urbane;
  • fiscalità sulla rendita immobiliare;
  • partecipazione degli abitanti nella governance urbana.

Non è “anti-sviluppo”: è un altro modello di sviluppo.

Conclusione: lo strappo è già iniziato

Lo strappo tra centrosinistra e sinistra radicale non è un fenomeno marginale:
è la manifestazione politica della crisi urbana contemporanea.

Quando le città diventano ostili alla vita quotidiana, chi propone un’altra idea di abitare, di mobilità, di welfare e di proprietà trova terreno fertile.
Quando i partiti storici difendono il modello che ha prodotto la crisi, diventano parte del problema.

L’Italia è ancora in tempo per leggere ciò che sta accadendo altrove.
Ma senza una svolta radicale nelle politiche urbane, rischia di seguire esattamente la traiettoria americana:
città che si svuotano, residenti che si impoveriscono, e una politica che – mentre costruisce skyline e grandi eventi – perde contatto con chi quelle città dovrebbe abitarle.