Gli ecosistemi

Democrazia dal basso

Quando i comitati diventano voce della città

Comitati, associazioni, movimenti. Spuntano come funghi a Bologna e in tante altre città guidate da sindaci di ogni colore politico. I cittadini si autoconvocano e organizzano presidi, flash mob, manifestazioni, cortei. Vengono promosse petizioni e raccolte firme per protestare contro scelte ritenute sbagliate. Qualcuno penserà che tutto questo sia indice di una democrazia sana e vitale. Effettivamente la voglia di partecipare e di far sentire la propria voce vanno nella direzione di un risveglio del civismo.
Tuttavia, allo stesso tempo, ogni nuovo comitato che nasce è un problema in più che un’amministrazione non ha saputo risolvere. E soprattutto rappresenta un conflitto in più tra politica e cittadinanza.
La partecipazione non dovrebbe scaturire dal dissenso e dallo scontro, ma dal confronto e dalla condivisione. Sempre più spesso le amministrazioni confondono la partecipazione con la comunicazione di decisioni già approvate e immodificabili. Chi afferma “abbiamo vinto le elezioni e abbiamo il diritto di governare” rischia di non comprendere la delicata fase storica che stiamo vivendo. Una fase di crescente disillusione, rassegnazione, astensionismo, ma anche di maggiore consapevolezza. Limitarsi ad attuare il programma elettorale, spesso annacquato dai numerosi imprevisti e incidenti di percorso, non è sufficiente.
La partecipazione va promossa e praticata giorno per giorno, anche su questioni apparentemente poco rilevanti. Una partecipazione vera e diffusa, che consenta alle persone di sentirsi protagoniste delle decisioni che riguardano la loro vita e quella della propria comunità.
Ogni progetto che impatta sull’ambiente e sulla salute pubblica non ammette scorciatoie. Anche il destino di un angolo verde o di uno spazio di quartiere meriterebbe un percorso di confronto e codecisione. E amministratori all’altezza del proprio ruolo devono essere capaci di rivedere progetti che suscitano critiche e perplessità in una parte consistente della popolazione.
Insomma, governo locale e partecipazione possono convivere sotto lo stesso tetto. Servono “soltanto” sensibilità, pazienza e una sincera volontà di ascolto.

Intervista a Danny Labriola

Danny Labriola è esponente politico e attivista ambientale con ruoli di rilievo per Europa Verde in Bologna. Ha ricoperto la carica di co-portavoce di Europa Verde a Bologna, distinguendosi per proposte incisive sul tema della crisi climatica, dell’ambiente urbano e della partecipazione civica. Si è spesso trovato in posizione critica rispetto all’amministrazione comunale di Bologna, soprattutto per questioni ambientali: progetti urbanistici che prefigurano consumo di suolo, la tutela del verde, la gestione del traffico, le scuole e temi come l’inquinamento acustico legato all’aeroporto Marconi.

Parli di un “risveglio civico” legato alla nascita di comitati e associazioni: credi che questa spinta dal basso possa trasformarsi in una forma stabile di nuova partecipazione politica?
In una democrazia sana la partecipazione politica sarebbe una pratica ordinaria, sia nelle istituzioni attraverso gli eletti, sia in altre sedi per un confronto più diretto tra politica e cittadinanza.
Ma la nostra democrazia non versa in buone condizioni: da una parte assistiamo allo svuotamento del ruolo e dei poteri dei consigli comunali, dall’altra vediamo che il proliferare di comitati è più sintomo di conflitto che di dialogo. E chi attribuisce la responsabilità ai cittadini “mai contenti”, si ostina a non comprendere che la partecipazione, quella vera, dovrebbe portare a una redistribuzione del potere per condividere e assumere decisioni “dal basso”.
Perché le amministrazioni locali tendono a confondere la partecipazione con la semplice comunicazione di decisioni già prese? È una scelta consapevole o un limite culturale della politica italiana?
È una scelta dettata dall’idea che il diritto di voto e l’esito elettorale siano sufficienti a legittimare ogni decisione politica e amministrativa. Un’idea davvero bizzarra in un’epoca in cui i programmi elettorali vengono “approvati” da una netta minoranza degli aventi diritto al voto. Ci vorrebbe meno arroganza per poter leggere la società e comprendere i bisogni delle persone. L’ascolto è un’arte in via di estinzione e i cittadini fanno bene a organizzarsi mettendo in rete competenze e battaglie.
Quali esempi concreti di buona partecipazione dal basso ha osservato a Bologna o in altre città che potrebbero fare da modello?
Vorrei che Bologna prendesse esempio da Nantes, città bretone di 320 mila abitanti dove – come spiega Marianella Sclavi, etnografa urbana e socia fondatrice di Ascolto Attivo – si afferma la “democrazia del dialogo cittadino”. Il “sapere d’uso” degli abitanti, ovvero l’esperienza di come funziona il mondo nella vita quotidiana, è ritenuto importante per una buona amministrazione al pari del “sapere tecnico” degli uffici e dei professionisti e delle “capacità e responsabilità decisionali” dei politici. L’obiettivo è valorizzare le differenze all’interno di ognuno dei tre settori (abitanti, amministrazione, politica) e imparare a farle diventare occasione di reciproco apprendimento e innovazione.
Quali strumenti concreti suggeriresti alle amministrazioni per praticare davvero la “sensibilità, pazienza e volontà di ascolto” di cui parli?
Magari avessi la risposta a questa domanda. Sono qualità che non si comprano al mercato. Stiamo vivendo un periodo storico in cui leader e amministratori deboli cercano “followers” fedeli. La classe politica si nutre di approvazione e applausi e va in crisi quando qualcuno osa dissentire o protestare. È difficile pensare di curare la democrazia e praticare sensibilità se gli stessi partiti al loro interno faticano a dare spazio e ascolto a tutte le voci. I partiti perdono iscritti, i seggi perdono elettori. La cosa più preoccupante è che politici e governanti sembrano poco (o fintamente) allarmati dal crescente astensionismo. L’inevitabile conseguenza è l’incapacità di capire che senza vera partecipazione ogni decisione sembrerà una imposizione dall’alto.
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